I volti della professionalità: spazio all’impegno dei soci rotariani nel mese dell’azione professionale.
Un’eccellenza rotariana che brilla nel mondo della musica classica. Un grande sostenitore dei giovani talenti e della solidarietà. È Matteo Fedeli, violinista e violista milanese, che può vantare nella sua biografia artistica l’esibizione in teatri di fama internazionale davanti a migliaia e migliaia di persone. Ma non solo: Matteo Fedeli è anche protagonista di una vita che si dipana tra strumenti di altissimo storico, codici di riservatezza e scorte.
Ci parla di questa sua vita musicale così particolare e affascinante, Maestro Fedeli?
La mia missione artistica, da sempre, è portare voce agli strumenti dei celebri liutai cremonesi Antonio Stradivari, Andrea Guarneri e Nicola Amati. Ho suonato oltre venti violini Stradivari, utilizzando inoltre un Guarneri del 1709. Si tratta di strumenti talmente unici e preziosi da richiedere una barriera di protezione molto sofisticata: dalle scorte alla riservatezza più totale. Questi violini devono essere trattati come “vip”. Trasportarli da un luogo all’altro comporta grandi responsabilità: non soltanto per il loro valore storico e patrimoniale, ma soprattutto perché devono trovare la collocazione in contesti adeguati. Devono essere, cioè, valorizzati al meglio. Io amo dare emozioni al mio pubblico, far vibrare le corde più riposte dell’animo delle persone. Quando suono stimolo le corde del violino, e il violino, con la sua voce, stimola a sua volta le emozioni del pubblico.
Quando è nata la sua passione per la musica e come si è sviluppata?
Questa passione alberga dentro di me sin da quando ero bambino. A 5 anni ho preso le prime lezioni private di pianoforte. Il docente ha subito compreso che c’era materiale su cui lavorare, e mi ha indirizzato precocemente al Conservatorio. I primi strumenti cui mi sono approcciato sono stati il pianoforte e gli archi. Ho imbracciato dapprima la viola, poi il violino. E proprio in quel momento è scattata dentro di me la scintilla che mi ha fatto scegliere gli archi come strumento principale. Tanto studio, tanta pratica, e poi una carriera che mi ha dato, e mi sta dando, profonde soddisfazioni. Penso al grande concerto che ho tenuto nel Duomo di Milano in occasione del 20esimo anniversario della scomparsa di Astor Piazzolla: patrocinato dal Consolato Argentino e presentato in anteprima alle Nazioni Unite di Ginevra, l’evento ha visto la presenza di oltre 5.000 persone. Ma anche all’esibizione del 2011 al Teatro Ponchielli di Cremona. Nel corso della stessa serata portai in scena quattro violini Stradivari: il Cremonese 1715, il Vesuvio, il Re di Prussia e il Sandars. Ho tenuto poi un concerto per Papa Benedetto XVI, suonando al Museo del Violino di Cremona, nel Duomo e al Teatro Farnese di Parma, al Filarmonico di Verona, alla Fenice di Venezia, all’Olimpico di Vicenza, fino al Museo del Teatro alla Scala di Milano e in diverse sale americane, tra cui la Severance Hall di Cleveland. Un progetto molto importante, inoltre, è stato quello sviluppato negli Stati Uniti e partito proprio con l’anno della cultura italiana, il 2013. Da un’iniziale serie di concerti si è creato un “ponte virtuale” con gli Usa che si è poi sviluppato sempre più nel corso degli anni. In occasione di quella ricorrenza ero stato invitato negli Stati Uniti per fare alcuni concerti. Nelle cittadine più piccole, al di fuori delle grandi metropoli, il messaggio musicale è stato recepito con una velocità eccezionale: ogni giorno mi venivano richiesti nuovi concerti, nuovi appuntamenti. Dal 2013, ogni anno mi reco due o tre volte negli Stati Uniti per suonare. Il traguardo più importante, tuttavia, per me resta l’attività con i giovani nelle scuole.
Dedica molto tempo ed energie nei confronti dei giovani. Ci racconta come si esplica questa sua attività?
Ho creato il progetto “On the stage”: si tratta di masterclass che danno la possibilità ai giovani talenti di perfezionarsi, non soltanto con gli archi, ma anche con altri strumenti come il pianoforte. I ragazzi affinano così le loro abilità tecniche e, al contempo, hanno la possibilità di fare musica da camera: attraverso il suono degli strumenti inizia così la fondamentale esperienza del confronto. Un’esperienza estremamente significativa, soprattutto grazie alla presenza di molti studenti stranieri. La musica è un linguaggio universale, e questo ai nostri corsi si percepisce molto bene: di fronte alle difficoltà comportate da tante lingue diverse, la musica fa comprendere e accordare tutti. Porto inoltre i ragazzi sul palcoscenico, e questo per me è un altro traguardo molto importante: per loro, dunque, c’è non soltanto lo studio, ma anche il raggiungimento di piccoli obiettivi iniziali come le performance davanti al pubblico. Sulla base della loro preparazione, noi offriamo i palcoscenici adeguati. Per me è fondamentale impedire la fuga dei nostri talenti dal nostro Paese. Va benissimo fare esperienze, magari anche percorrere l’intera carriera all’estero, ma dobbiamo evitare l’etichetta di “musicisti fuggiti dall’Italia”. La situazione dei nostri Conservatori e dei nostri teatri, nonché le possibilità concrete di lavoro offerte ai giovani, da noi non sono ottimali, lo sappiamo. Ma, là fuori, c’è tutto un pubblico che attende cose belle da ascoltare. È proprio a questo pubblico che dobbiamo rivolgerci. Bisogna sintonizzare il tutto. Con il mio progetto cerco di mettere in comunicazione i giovani con un pubblico che, un domani, li potrà sostenere. Un grande aiuto, finora, è stato dato dal Rotary: penso, soprattutto, al sostegno ricevuto finora dal Distretto 2041 e dal mio Club, il Rotary Milano Europa.
Parliamo proprio di Rotary. Grazie al Distretto 2041, per volontà dell’allora Governatore Franz Müller, ha organizzato “Note in Galleria”, una maratona musicale che si è tenuta nel maggio 2019 in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano e che ha visto la partecipazione di giovani musicisti di molti Conservatori, oltre che dell’Accademia del Teatro alla Scala. Potrebbe raccontarci l’iniziativa?
Una giornata indimenticabile. Mi è stata affidata la Direzione Artistica dell’evento: ho coordinato pertanto la scelta musicale (dagli artisti al programma), affiancato da tecnici straordinari, capaci di realizzare la miglior amplificazione in tutta la Galleria. Dodici ore ricchissime di musica, all’interno delle quali, ogni 10-15 minuti, si sono alternati in maniera mirabile questi giovani pieni di entusiasmo e di talento: dai violinisti ai pianisti, fino ai cantanti di musica leggera, ai cantanti jazz e persino alle voci bianche della Scala. Gruppi di ogni tipo: giovani, giovanissimi, bambini. E tanti prodigi. Gli spettatori, ricordo, continuavano a girare da un angolo all’altro dell’Ottagono, in Galleria, per ascoltare così la musica più diversa. Ciò che mi ha colpito maggiormente è stata la voglia di suonare e di farsi ascoltare che questi ragazzi hanno espresso con la massima spontaneità.
Per la grande sensibilità dimostrata nell’affiancare la solidarietà ai grandi eventi concertistici, è stato insignito di importanti riconoscimenti come la Croce di Cavaliere dell’Ordine di Malta, la Croce di Cavaliere di merito del Sacro Militare Ordine Costantiniano, tre Paul Harris Fellow e il premio “The Man of the Year” dall’ILICA di New York. Dove ha origine questo suo profondo interesse per il sociale?
Tutto è legato all’utilizzo degli strumenti musicali e alla possibilità di fare qualcosa per gli altri. Fuori dai contesti ordinari (grandi teatri, sale famose, etc.), in luoghi come un ospedale o un centro di volontariato, mettere le persone nelle condizioni di poter ascoltare la voce di questi strumenti è un’esperienza straordinaria. Facendo questo, porti le nostre eccellenze anche ai meno fortunati e ai più sofferenti. Dedicare i concerti alla solidarietà: questo è sempre stato il mio pensiero. Tra le tante attività svolte, ricordo sempre con commozione il progetto realizzato con il Piccole Figlie Hospital di Parma (ospedale creato da un ordine di suore) e gli Amici delle Piccole Figlie (Associazione che sostiene i malati dell’ospedale). Lì abbiamo suonato per i pazienti curati con cure palliative: è stato un grandissimo sollievo per loro, ma soprattutto lo è stato per me. Grazie a quest’esperienza così forte ho compreso fino in fondo quanto una semplice melodia possa risultare estremamente importante in situazioni come queste.